Il camp di Tagliacozzo per un genitore “di scorta”.

 

Quando per la prima volta mio figlio partecipò ad un camp di basket, non c’è stata notte passata tranquilla. I pensieri erano quelli di tutti i genitori, erano uguali ai vostri. Per quanto mi fidassi degli istruttori della società, la paura di tutte le cose che potevano succedere era sempre lì a martellare, nascosta, perché non potevo farla vedere, ma martellava. Quando rividi mio figlio dopo i sei giorni di camp lo trovai diverso, era stanco ma al tempo stesso felice, ma soprattutto era cresciuto. Era cresciuto, perché, come me, aveva avuto paura della mancanza, ma l’aveva superata. Sono io che ancora non ci sono riuscito.

Un giorno mi hanno chiesto di partecipare ad un camp, allo stesso camp al quale aveva partecipato mio figlio grande, io sarei stato un genitore accompagnatore. In quel camp c’erano i miei due figli più piccoli. Anche in quel camp ho avuto paura. Per me ogni esperienza è una montagna. Ed ogni esperienza la affronto a testa bassa per non farmi impaurire dalla distanza e dalla fatica.

E così, in quel camp.

A testa bassa dietro ai genitori, che lasciavano i loro figli, per cercare di tranquillizzarli che tutto sarebbe andato bene. Che per qualunque cosa ci saremmo stati noi.

A testa bassa dietro agli allenatori, con le loro richieste e le loro esigenze.

A testa bassa dietro ai ragazzi giorno e soprattuto notte, quando la mancanza si faceva sentire di più. Ottanta ragazzi con le loro esigenze: ho la febbre; mi fa male la pancia; mi è entrata una spina; devo prendere il vaccino; sono caduto e mi sono sbucciato un ginocchio; sono caduto e mi si è piegato il polso, ci facciamo due ore al Pronto soccorso?

A testa bassa dietro agli orari: Gianluca deve prendere l’antibiotico prima di cena e prima di colazione; Isa deve mettere la crema per il sole sulle labbra prima di andare in piscina (azz… me la sono dimenticata, va bene se gliela metto ora che si è fatta il bagno?); ma Fabio non sa nuotare, che ci fa nella piscina alta; tre volte al giorno devo mettere questo spruzzino di vattelapesca sulla verruca (alle 7, alle 15 ed alle 23 mi raccomando).

Alla fine di quel camp ero stanco, ma quando tutto è finito, quando l’ultimo ragazzo è andato via, quando il silenzio ha preso il posto degli applausi e dei saluti, degli slogan e dei palloni che rimbalzano a terra, quando la vita è tornata ad essere quella di sempre … ho sperato che mi venisse chiesto di rifare un camp anche l’anno successivo. La testa era vuota, libera, ormai piena solo di nostalgia di quei sei giorni. Poi la routine ha ripreso il sopravvento.

Per fortuna è da dieci  anni che ho la possibilità di fare il genitore di supporto, il genitore “di scorta”.

Di quei ragazzi che urlano e sembra che non ti ascoltino; che scappano quando ti vedono passeggiare nei corridoi; quelli che ti passano vicino e ti prendono in giro perché è giusto che sia così; quelli che gli dici di non andare in giro scalzi nell’albergo e loro, per farti dispetto, si mettono calzini ed infradito; quelli che ti chiedono di andare un attimo dal loro amico al piano di sopra, poi ci passano tutto il pomeriggio a fare casino; quelli che cadono e si sbucciano, vengono da te in lacrime, ti implorano di non fargli male e se ne vanno orgogliosi dell’inutile fasciatura malmessa, simbolo del loro coraggio; quelli che vengono con il mal di gola ed un forte mal di testa e se ne vanno totalmente risanati dopo un po’ di coccole e una caramella alla menta spacciata per pasticca miracolosa; quelli che hanno il ginocchio destro malandato e sono devastati dal dolore, anche lì, due coccole ed una finta fasciatura e si riparte zoppicando, poi li incontri il giorno dopo, gli chiedi come va e ti dicono che ormai non hanno più dolore … toccandosi il ginocchio sinistro.

Ma ciò per cui non smetterò mai di ringraziare è il fatto di poter fare un pezzo di strada con dei ragazzini speciali. Sono quei ragazzi che mi obbligano ad uscire fuori dagli schemi, a rompere quella monotona tranquillità che la vita mediocre che conduco, mi consente di avere.

Un anno ho passato un pomeriggio a parlare con un ragazzo che aveva fatto una fesseria ed era stato punito, ho cercato di spiegargli l’errore, ho cercato di fargli capire come, con il suo atteggiamento, otteneva l’esatto contrario di ciò che voleva. Non so se sono riuscito a farmi capire, comunque continua ancora a salutarmi. Da quel pomeriggio in poi abbiamo passato insieme tutto il resto del camp. Per punizione.

Un anno c’è stato un ragazzo con una di queste sidromi che oggi vanno tanto di moda. Dal secondo giorno ha cominciato a dire che voleva tornare a casa, non si allenava e passava il suo tempo con me. Sono riuscito a fare una scommessa, se rimaneva fino a giovedì, io gli avrei portato la colazione al letto tutti i giorni. Poi giovedì avrebbe potuto andarsene. Giovedì non se ne è andato, quando ci siamo lasciati, il sabato, mi ha abbracciato. Io non sono abituato agli abbracci esattamente come lui. Mi sono commosso.

Ed ancora un altro anno un ragazzino diabetico. Ero la sua ombra, giorno e notte. Ho fatto fatica a svegliarmi la notte ogni due ore. Erano anni che non lo facevo per i miei figli. Mi ha riportato indietro nel tempo. E’ stato faticoso, ma andava fatto. L’ho anche trattato male, ho cercato di essere un genitore “di scorta”, un genitore a tempo, usa e getta . Anche lui mi ha salutato con un abbraccio. Il giorno dopo gli ho scritto per sapere quanta glicemia avesse, mi mancava.

Quando lasciate i vostri figli nessuno potrà assicurarvi che staranno bene e neanche che voi starete bene, commetteremo tanti errori, dimenticheremo tante cose fondamentali, ma il loro desiderio di tornare è il segno che l’obiettivo più importante è stato raggiunto. Sono stati bene. E questo è tutto.

 

Parole saggie dal nostro genitore di scorta e come sempre ….Forza Olimpia